Fenomeno finora abbastanza limitato al mondo dei tabloid anglosassoni, l’attenzione dedicata alle wags sta finalmente e inesorabilmente contagiando anche i giornali nostrani.
Wags: wives and girlfriends, acronimo che finisce con il significare in inglese diverse cose divertenti tra cui il movimento caudale del canide soddisfatto. Quando, nel contesto, si riferisce alle compagne dei calciatori. In realtà, non solo dei calciatori: in uno dei primi incontri ufficiali dei capi di governo europei, con famigliari al seguito, era stato seguito dalla stampa anche il gruppo delle wags, incluso anche il marito di Angela Merkel, con una buona dose di umorismo.
Torno però ai calciatori. Se questi hanno mediamente mogli bellissime, qualche volta anche famose prima del loro intervento, questo non mi sorprende né mi infastidisce. Io auguro a ciascuno una vita serena, lunga e prolifica.
Sono però colpito dall’insorgenza di questa nuova categoria: la wag. Mi sembra davvero l’avanguardia, antropologicamente parlando. In un tempo e in un Paese in cui abbiamo importato ogni forma di politically correct, tanto da scardinare anche forme consolidate nella lingua e nel discorso, pardon, nel “diversamente corso”, riusciamo a unificare, con la solita strizzatina d’occhio, donne di diversissima origine, professionalità, situazione sentimentale, cioè sostanzialmente persone distantissime, nell’insieme delle wags. Cioè, come dire, queste donne hanno in comune l’accompagnarsi a una celebrità. Chissà se sono amiche tra di loro, se hanno fondato un club per sostenere questa nuova appartenenza, se qualcuna pensa di lasciare il lavoro per dedicarsi a tempo pieno allo scodinzolio, accompagnando la propria fonte di definizione agli allenamenti, dal parrucchiere, in biblioteca, a Coverciano (per le più wags di tutte).
Io sono convinto che tra gli importatori di questa meravigliosa novità nel panorama sociale italiano ci siano anche giornaliste donne. Sono altresì convinto che l’ammiccamento dei colleghi uomini sia scontato, e che le celebrità stesse, quasi tutte forse, in fondo in fondo, traggano qualche forma di piacere nel vedere illuminate della propria luce le donne-satellite che scodinzolano intorno.
Ma credo, invece, che queste donne, quasi tutte, vivano con fastidio questa novità, l’essere le wag. Non perché le macchi o tolga loro dignità. Macchie e dignità dipendono da loro e dalla loro consapevolezza, e sono, alla fine, unicamente affar loro. Ma piuttosto perché, tramite loro, questa novità continua a dipingere un modo di vedere la donna che trascura tutto di lei e mette in evidenza solo il maschio che la ospita sotto le coperte.
Vorrei ricordare, tanto per rimanere nel mondo del pallone, una donna, che ora non c’è più, che è stata oggetto da parte del marito-celebrità, di un gesto inconsueto in quel mondo e, credo, di grande rispetto; lei, non wag ma moglie, ha visto il marito, sposato da calciatore e ora allenatore rinunciare al proprio lavoro, a un ricco contratto con la Roma, per poterla assistere negli ultimi mesi di vita. Niente di che, sono d’accordo: quasi qualunque marito qualunque, potendoselo permettere e trovandosi nella situazione, l’avrebbe fatto o lo farebbe; è che in una storia raccontata così non ci sono scodinzolii, non ci sono annullamenti di identità. Ci sono invece due persone che mettono in gioco tutto quel che hanno, c’è un rapporto d’amore, di stima e di rispetto, ci sono due volti precisi: quelli di Manuela Caffi e di Cesare Prandelli.
Sarebbe bello che i giornalisti e le giornaliste che parlano di wags imparassero il rispetto e la delicatezza.
[…] di calcio sembrano un almanacco ambulante: ricordano risultati, marcatori, spettatori paganti, wags in tribuna e aneddotica delle ultime trenta stagioni, e, a volte, sono in grado di tirar fuori […]