Il mio rapporto con la Storia, intesa come disciplina scolastica e branca del sapere umano, temo sia stato compromesso molto presto. Direi in prima superiore.
Tutta colpa dei Babilonesi.
In terza elementare, dopo il solito sbrodolio sui cavernicoli, un unico grande sbadiglio, ecco arrivare i Sumeri, poi i Babilonesi, gli Assiri, i Babilonesi reprise. Che bello! La Mesopotamia, queste cartine coi due fiumi, la mezzaluna fertile, le città dai nomi esotici, e i re! Come non farsi affascinare da gente che si chiamava Sargon, Assurbanipal, Nabucodonosor? Nel frattempo qualche puntatina in Egitto, ma l’Egitto! Si sa già tutto…
Poi i Babilonesi ritornano in prima media. E la storia cambia un po’. Compaiono altri attori nella narrazione. Compaiono i Medi, gli Ittiti e qualche altra presenza di disturbo, ma è tollerabile. In fin dei conti lo sapevo anch’io che in prima media si è grandi abbastanza per capire cose complesse.
Ma poi la storia viene raccontata di nuovo in prima liceo. Usando un libro dalle figure tristissime in bicromia, che riempie pagine di scrittura, di linguaggi cuneiformi, di iconografia, di fonti, di leggende… E i fatti, dove sono? Le date, dove sono? Circa qui, circa là? E chi sono questi Mitanni, Cassiti, Hurriti? E quella bella linearità, arrivano questi, conquistano e sostituiscono, dove la mettiamo? Invece tutto un brodo di popolazioni, questi a nord, questi altri a sud ma un po’ dopo, ma intanto il regno persiste, ma sembra che questi altri diventino un gruppo dominante…
Qualcuno me l’ha anche spiegato che di testimoni viventi non ce n’erano, che per ricostruire la storia, una storia così lontana, bisogna affidarsi a documenti di epoche diversissime, scritti talvolta in lingue nemmeno completamente comprese in scritture nemmeno completamente decifrate su supporti nemmeno completamente pervenuti. Ma a me non importava: per me la storia, in prima superiore come prima, era sapere i nomi dei re, delle battaglie, di chi vince e chi perde, le date. La verità.
Ero un piccolo dogmatico rompiscatole, ero fatto così.
Ma per colpa dei Babilonesi qualcosa si è incrinato. Intanto il mio rapporto con la Storia. Fino alla fine delle Superiori, ho sempre metaforicamente sbadigliato in faccia ai miei insegnanti di storia, tanto quanto ho mostrato il mio interesse con il buon Storiales nelle ore di filosofia (tranne quella volta che, andando io a ritirare il diploma di maturità, lo incontrai sui gradini della scuola e gli dissi, papale papale: “Non gliel’ho mai detto, prof, ma ho sempre desiderato farlo: Hegel fa cagare”, ma questa è un’altra storia).
Ma si è anche aperta una crepa che studiando fisica e matematica, e ancor più studiandone la storia e la filosofia, si è allargata e ha lasciato uscire i miei umori dogmatici. Ed è entrata, al suo posto, l’ammirazione per il lavoro di ricerca sui testi, sulle fonti, che porta a ricostruire, in modo temporaneo, parziale, tentativo ciò che con una certa probabilità costituisce la sequenza di eventi, le loro cause, una chiave di lettura di avvenimenti, insomma.
Che è una cosa molto simile a quanto fa lo scienziato leggendo la natura. Anche nelle cosiddette scienze esatte, figuriamoci nelle altre.
Si chiama ricerca. Fa bene alla salute.
Per questo, quando sento uno scienziato (e me ne viene in mente uno in particolare) usare il proprio titolo come una clava, scagliarsi contro i dogmatici, che sono sempre quelli che la pensano diversamente da lui (o lei, e anche come “lei” ho un volto abbastanza noto in mente), sfoderare certezze all’interno del proprio campo o magari in campi anche totalmente diversi (ad esempio, una sentenza della magistratura di cui non si conoscono ancora nemmeno le motivazioni), ecco penso che costui o costei abbia perso, o magari non abbia mai avuto, il gusto della ricerca.
Che per uno scienziato non è il massimo, mi spiace dirlo. Un po’ come per un contadino il non amare infangarsi. O come per uno storico pretendere di sapere tutto e scrivere il trattato definitivo sui Babilonesi.
Cavoli, ‘sti Babilonesi, che casino.